«Quanto sarebbero belli e buoni tutti se ogni sera prima di addormentarsi ripensassero agli eventi della giornata e stabilissero con precisione che cos’hanno fatto bene e che cosa male. Involontariamente allora ogni giorno cerchi di migliorarti ed è facile, col tempo, ottenere risultati. Questo rimediuccio è alla portata di tutti, non costa niente ed è sicuramente molto utile. Perché chi non lo sa deve impararlo e provare: “La coscienza tranquilla rende forti!”. »
(Anna Frank – Giovedì 6 Luglio 1944)
Ricordiamo questo giorno nella speranza che la storia possa insegnarci ad amare, a conoscere l’amore verso l’altro senza discriminazione alcuna: né per razza, né per sesso, né per orientamento religioso o sessuale che sia.
La piccola Anna, nel suo diario scriveva: «Chiunque è felice, renderà felici anche gli altri.», probabilmente le persone che hanno fatto questo non erano felici e quindi non potevano portare gioia negli altri, solo pene, dolori, torture…e morte.
Diario, libri, articoli, scambi epistolari… Perché abbiamo bisogno di parlarne?
Perché c’è ancora da imparare e da chiedersi il perché.
La Shoah rappresenta uno spartiacque nella cultura moderna, nella letterature e giurisprudenza.
Nella letteratura, perché grazie a Raphael Lamkin è stato introdotto nel nostro linguaggio un nuovo lemma: Genocidio, con cui si intendono «gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».
Nella Giurisprudenza perché al Processo di Norimberga è stato introdotto il principio di retroattività riguardo i crimini conto l’umanità, per condannare un delitto inedito fino a quel momento, senza eguali nella storia.
Nella filosofia moderna, Adorno, nel 1949, afferma che “scrivere poesie dopo Aushwitz sarebbe barbaro”, come a sottolineare il blocco del pensiero di fronte allo scenario che si è aperto al mondo alla fine della seconda guerra mondiale.
Questo ha reso fondamentale il recupero delle testimonianze e conseguentemente il riconoscimento della responsabilità dei carnefici. I testimoni sono stati chiusi per anni nel silenzio perché circondati da un mondo che non ne voleva parlare. Fino a quando qualcuno ha preso coraggio dandone anche agli altri. Perché era impossibile portarsi un trauma del genere dentro l’anima. Un trauma che per trasmissione transgenerazionale si è trasmesso ai cosiddetti “Figli della Shoah”. Figli che possono essere anche un mezzo per risorgere.